Alla donna è associata la frase “Aqua vivimus” (viviamo d'acqua). Questa può essere ricondotta ad un'antica etimologia, ovviamente erronea ma molto suggestiva, della parola latina “aqua”. Nel 1770, Charles Alston scrive quanto segue nelle sue “Lezioni sulla materia medica” (“Lectures on the Materia Medica”): “Aqua, idros, secondo gli alchimisti e i filosofi antichi, è uno degli elementi. Dice Festo: Si chiama aqua perchè di essa viviamo (a qua vivimus); e si dice onda (unda) perché da essa derivano tutte le cose (unde sunt omnia), secondo Talete.”
John Mason Good, Olinthus Gregory e Newton Bosworth si esprimono in tono più sprezzante. Questi tre accademici sono gli autori di un'opera pubblicata nel 1813: “Pantologia, una nuova enciclopedia comprendente una serie completa di saggi, trattati e sistemi, ordinati alfabeticamente, con un dizionario generale sulle arti, le scienze e le parole, che presenta complessivamente una disamina distinta di genio, erudizione e industria umani”. Alla voce “Aqua” si legge: -L'origine di questa parola ha stranamente lasciato perplessi i lessicografi. “A qua vivimus” (della quale viviamo) è la ridicola derivazione proposta da Festo. “Aequa” (equa) quella proposta da Varro, in base alla superficie liscia dell'acqua. Lo Scaligero viaggia più lontano, ma senza migliori risultati, e deriva la parola dal greco "axa", equivalente al latino “aequa”, e altrettanto esplicativa. La radice può essere rinvenuta nella maggior parte dei linguaggi orientali. “Aq” nella lingua caldea implica un flusso o una marea. “Aga” o “agua”, in Ebraico, significa essere fragorosi, protestare o ruggire, comportarsi con veemenza; tutte idee applicabili alle onde del mare.-
Il Festo citato in questi due testi sembra essere Sesto Pompeo Festo, un grammatico del II secolo dopo Cristo, autore di un'opera etimologica (“De Verborum Significatu”).
All'uomo raffigurato sul lato destro del portale, è associato il motto “Ut vivas vigila” (per vivere, rimani sveglio), che plausibilmente deriva da una delle satire di Orazio, in cui un medico dà questo consiglio ad un paziente avaro improvvisamente colpito da letargia (“ut vivas igitur vigila”, Satire II,3,152). Come se avarizia e letargia fossero due aspetti di un'unica malattia psichica che conduce alla paralisi delle forze vitali: una paura della morte che determina l'incapacità di vivere.
Orazio, Satire, Libro II, Satira 3, versi 142-160.
Pauper Opimius argenti positi intus et auri,
qui Veientanum festis potare diebus
Campana solitus trulla vappamque profestis,
quondam lethargo grandi est oppressus, ut heres
iam circum loculos et clavis laetus ovansque
curreret. hunc medicus multum celer atque fidelis
excitat hoc pacto: mensam poni iubet atque
effundi saccos nummorum, accedere pluris
ad numerandum: hominem sic erigit; addit et illud:
'ni tua custodis, avidus iam haec auferet heres.'
'men vivo?' 'ut vivas igitur, vigila. hoc age.' 'quid vis?'
'deficient inopem venae te, ni cibus atque
ingens accedit stomacho fultura ruenti.
tu cessas? agedum sume hoc tisanarium oryzae.'
'quanti emptae?' 'parvo.' 'quanti ergo?' 'octussibus.' 'eheu,
quid refert, morbo an furtis pereamque rapinis?'
quisnam igitur sanus? qui non stultus. quid avarus?
stultus et insanus.
Opimio era povero, anche se circondato da oro e argento nascosti in casa,
nei giorni di festa beveva vino di Veio
da un ramaiolo campano, feccia del vino più comune.
Un giorno fu colpito da un profondo letargo, e il suo erede
già correva tutto contento tra le chiavi
e i forzieri. Un medico molto perspicace e fedele
lo risveglia così: ordina di portare una tavola
e di versarci sopra sacchi di monete, e che molte persone
si avvicinassero a contarle. Così l'uomo si alza. Il medico gli dice:
“Se non badi alle cose tue, l'erede te le porta via.”
“Anche se sono ancora vivo?” “Se vuoi vivere, rimani sveglio, dammi retta.”
“Che devo fare?” “Ti manca il sangue, è necessario che il cibo
ti venga in soccorso con un valido sostegno.
Cosa aspetti? Prendi questo decotto di riso.”
“Quanto costa?” “Poco.” “Quanto, dunque?” “Otto assi.” “Povero me,
che differenza c'è tra morire di malattia e morire derubato dai ladri?”
Allora, chi è veramente sano? Chi non è stolto. E com'è un avaro?
Stolto e malato.
Il motto “ut vivas vigila” può anche ricordare alcuni passi del Nuovo Testamento, per esempio Apocalissi 3,1: “Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.” (Scio opera tua quia nomen habes quod vivas et mortuus es. Esto vigilans et confirma cetera quae moritura erant, non enim invenio opera tua plena coram Deo meo).
Rimane il problema dell'interpretazione complessiva delle iscrizioni associate a questa coppia di statue. La nudità delle due persone richiama Adamo ed Eva e suggerisce che i due possano essere interpretati come rappresentativi dell'intera umanità. Un'ipotesi potrebbe essere che i due motti esprimano i due atteggiamenti complementari dalla cui interazione dipende l'agire dell'uomo in modo conforme alla sua natura: la passività dell'elemento femminile acquatico, associato alla donna, e l'attività rappresentata dallo stato di attenzione vigile associato all'uomo. Quello che è esplicito e chiaro è che i due motti sono entrambi collegati alla natura della vita, indicando due elementi indispensabili alla stessa: l'acqua e la vigilanza (o consapevolezza).
Il motto “ut vivas vigila” è citato in un libro del 1599 (“Variorum in Europa itinerum deliciae”), opera di Giulio Cesare Scaligero, edita da Nathan Chytraeus. Questo “Scaligero” potrebbe essere lo stesso citato nella “Pantologia”. Il motto compare sul sepolcro di Vito Pisanello, morto a Napoli nel 1528. L'iscrizione presenta una versione più estesa del motto: “Ut vivas vigila: hic exitus omnes. Longarum haec meta viarum” (Se vuoi vivere, rimani sveglio: così finiamo tutti. Questa la meta dei miei lunghi viaggi). Il monumento riporta anche una breve biografia del Pisanello: “nato da un'antica famiglia, prese il cognome dalla città di Pisa in Grecia [nella valle del fiume Alfeo]. Fu intimo di Re Federico, e suo consigliere; condivise con il re lavoro, viaggi e pericoli in tempi molto difficili. Successivamente, quando i Francesi invasero il regno, fu accolto da Ferdinando [di Spagna], Re cattolico, per la sua rara fedeltà nelle avversità. Tornato a Napoli, all'età di 73 anni, vi morì. Andrea Francesco e Muzio fecero costruire questo monumento a testimonianza dell'amore e della pietà per il meritevole antenato. Fu sepolto qui nel Dicembre del 1528."
Sembra quindi confermata l'origine napoletana del portale, e si può ipotizzare che lo stesso fosse collegato a qualche membro della famiglia Pisanello.
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