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Lo Specchio della Salvezza Umana

Lo Speculum Humanae Salvationis (“Specchio della Salvezza Umana”) è un testo redatto nel corso del Trecento, che ebbe molta popolarità anche durante il secolo successivo.
Il testo è composto di un Prologo, un Proemio, due Capitoli che trattano la Creazione, la Caduta di Satana, la storia di Adamo ed Eva e il Diluvio universale. Seguono altri quaranta capitoli in cui episodi dell'Antico Testamento vengono messi in parallelo con episodi del Nuovo Testamento. L'opera è chiusa da altri tre capitoli che descrivono le stazioni della Via Crucis, le Gioie e i Dolori della Vergine. In tutte le redazioni, l'opera è ampiamente illustrata.

 Il centro dell'opera è dunque costituito dal confronto tra Vecchio e Nuovo Testamento. Per esempio, nel capitolo VIII, la Nascita di Cristo viene messa in relazione con la profezia della Sibilla Tiburtina che avrebbe annunciato all'imperatore Augusto il fatto che una vergine avrebbe partorito un potentissimo re (“Sibilla vidit virginem cum puero”, la Sibilla vide una vergine che aveva un figlio). Quest'ulitmo episodio non fa parte propriamente del Vecchio Testamento (è desunto dal Chronicon pontificum di Martinus Polonus), ma esemplifica comunque come la vita di Cristo abbia portato a compimento un destino che era stato presagito variamente nelle epoche precedenti. A Medieval Mirror è un bel libro online in lingua inglese che presenta molte informazioni sullo Speculum e illustrazioni tratte da edizioni manoscritte e a stampa.

E' molto notevole che l'iconografia dello Speculum, tipicamente trasmessa in semplici xilografie, sia stata d'ispirazione per un meraviglioso polittico quattrocentesco, dipinto a Basilea da Konrad Witz nel 1434 circa.


De Morte et Amore

Andrea Alciato (o Alciati), giurista milanese, pubblicò nel 1531 la sua raccolta di Emblemi: una collezione di immagini allegoriche illustrate da incisioni e da brevi poesie in latino. Il suo testo ebbe un grandissimo successo e venne pubblicato più volte, con traduzioni in tutte le principali lingue europee.



La Morte passaggiava a braccetto del suo amico Cupido:
La Morte aveva la sua faretra, Amore i suoi piccoli dardi.
Si fermarono insieme, e dormirono vicini di notte:
L'Amore è cieco, e quella volta fu cieca anche la Morte.
Per sbaglio, si scambiarono le frecce,
La Morte prese quelle d'oro, il fanciullo quelle d'osso,
Ed ecco che un vecchio, che dovrebbe essere sull'Acheronte,
si innamora, e si prepara una ghirlanda di fiori come copricapo.
E io, colpito da Amore con la freccia sbagliata,
Mi sento mancare, il fato stende la sua mano su di me.
Pietà, fanciullo! Pietà, Morte che porti lo stendardo della vittoria!
Fate che io possa amare e che il vecchio se ne vada all'Acheronte.

Errabat socio Mors iniuncta Cupidine: secum
  Mors pharetras, parvus tela gerebat Amor.
Divertere simul, simul una et nocte cubarunt:
  Caecus Amor, Mors hoc tempore caeca fuit.
Alter enim alterius male provida spicula sumpsit,
  Mors aurata, tenet ossea tela puer
Debuit inde senex qui nunc Acheronticus esse,
  Ecce amat, et capiti florea serta parat.
At ego mutato quia Amor me perculit arcu,
  Deficio, iniiciunt et mihi fata manum.
Parce puer, Mors signa tenens victricia parce:
  Fac ego amem, subeat fac Acheronta senex.

Il mistico gioco della palla di Cusano

“De Ludo Globi” (“Il Gioco della Palla”) è un dialogo scritto da Nicola da Cusa nel 1462 circa. Il Dialogo è composto di due libri. Nel primo, l'interlocutore di Nicola è Giovanni, Principe di Baviera, che all'epoca aveva 25 anni.

Nicola descrive un gioco allegorico, in cui una palla di forma irregolare viene lanciata su un campo da gioco circolare segnato da cerchi concentrici. L'obiettivo è arrivare il più vicino possibile al centro del campo da gioco. Il gioco si caratterizza come una ricchissima allegoria della vita e dell'universo, in cui Dio si colloca come obiettivo al centro del campo da gioco, così come si colloca come obiettivo, più o meno riconosciuto, della traiettoria di ogni esistenza umana.



Giovanni: Poiché ti vedo ritirarti dal gioco della palla e sederti, forse perché stanco, vorrei parlare con te di questo gioco, se ti fa piacere.
Nicola: Molto volentieri.
Giovanni: Tutti abbiamo ammirato questo gioco nuovo e divertente. Forse perché in esso si trova raffigurata qualche profonda meditazione, che vorremmo ci fosse spiegata.
Nicola: E' una domanda ben posta. Infatti tutte le scienze hanno i loro strumenti e i loro giochi. L'aritmetica ha la ritmimachia. La musica, il monocorde. E anche il gioco della dama o degli scacchi non sono privi di un mistero morale. Personalmente, credo che tutti i giochi validi contengano qualche insegnamento. E in verità, secondo me questo piacevole esercizio della palla ci comunica significati filosofici non da poco. 

Giovanni: Dici che la palla da gioco ha una superficie semi-sferica. Potrebbe avere una superficie più grande o la rotondità di una sfera completa?
Nicola: Non nego che la palla da gioco possa vere una superficie più grande o più piccola, o la superficie di una sfera completa, se parliamo della forma e della rotondità visibili, il che non è affatto  vero per la rotondità perfetta. Infatti la rotondità che non può essere più tonda non è mai visibile. Infatti la superficie di una sfera è equidistante dal centro in tutte le direzioni, estremità della rotondità, che termina in un punto indivisibile che rimane tuttavia invisibile ai nostri occhi. Infatti i nostri occhi possono vedere solo ciò che è divisibile e finito.
Giovanni: Quindi la rotondità sferica dell'universo, che reputo perfettissima, non sarà mai visibile.

Giovanni: Trovo molto piacevole che si possa confrontare la palla da gioco con il corpo dell'uomo e il suo movimento con l'anima. Un uomo costruisce una palla da gioco e ne causa il movimento, che le imprime con il proprio impeto. E il movimento è invisibile, indivisibile e presente in nessun luogo, proprio come la nostra anima. 

Nicola: Credo di aver spesso parlato e scritto di questi argomenti, forse meglio di quanto possa fare adesso, dato che le mie capacità vengono meno e la mia memoria risponde lentamente. Tuttavia, era mia intenzione illustrare questo gioco di nuova invenzione, che tutti comprendono e giocano allegramente a causa dell'imprevedibile traiettoria della palla. Ho fatto un segno per terra nel punto da cui noi lanciamo la palla; e in mezzo al terreno di gioco c'è il trono di un re, il cui regno è un regno di vita, racchiuso da un cerchio. E all'interno del cerchio più grande ho tracciato nove altri cerchi. Le regole del gioco richiedono che la palla si arresti in uno di questi cerchi, e una palla che arriva più vicina al centro fa più punti, secondo il numero indicato sul cerchio in cui la palla si arresta. E colui che arriva per primo a trentaquattro punti (corrispondenti agli anni della vita di Cristo) è il vincitore.

Boccaccio: La Papessa Giovanna


La leggenda della Papessa Giovanna è stata molto popolare per gran parte del medioevo. Nella Cronaca di Norimberga (1493) la papessa viene ancora presentata come un personaggio storico (con il nome di "Joannes Anglicus", Giovanni d'Inghilterra). Nel dettaglio riprodotto qui sotto, il passaggio relativo alla vita di Giovanna è stato cancellato, plausibilmente perché ormai ritenuto inattendibile. La papessa è ritratta con il nome di Giovanni VII:



Questa è la storia di Giovanna, come narrata da Giovanni Boccaccio nel suo "De Claris Mulieribus" (Delle Donne Illustri):


Di Giovanni Papa Inglese

Giovanni, comechè di nome paresse uomo, nondimeno di sesso fu femmina, della quale il non più udito ardire fece che divenne chiarissima a tutto il mondo e dai posteri fu conosciuta. Di costei, benché dicano alcuni Magonza essere stata sua patria, appena si sa quale fosse il suo nome, ancora che vi siano chi dica essere stato Giliberta. Questo si ritruova, per confermazion di alcuni, costei, donzella, aver amato di sorte un giovane scolare, che, posto da canto il rispetto e la paura femminile, si fuggi segretamente di casa del padre e in abito di giovanetto, cangiatosi il nome, lo seguì, appresso il quale, ch'era andato in Inghilterra a studiare, istimata da tutti un cherico. Studiò ne gli studi di Venere e delle lettere. Ma, morto il giovane, conoscendosi la donna aver buono ingegno, e piacendole molta la dolcezza della scienza, ritenendo l'abito da maschio,non si volle accostar più ad altri, ne darsi a conoscer per donna, anzi continuando negli studi, fece tanto profitto nell'arti liberali, e nelle sacre lettere, che fra tutti a quel tempo fu tenuta eccellentissima. Così maravigliosamente diventata dotta , e ornata di scienza, omai giunta agli anni maturi, d'Inghilterra se ne venne a Roma, e ivi, leggendo publicamente alquanti anni le tre scienze cioè grammatica, dialettica, e retorica, ebbe molti nobili uditori. Onde, oltre la scienza tenuta da tutti huomo pieno di singolare honestà, di buon costumi, e di santità, e per ciò conosciuto da molti, morendo Lion Quinto Pontefice massimo da' Reverendissimi Cardinali, di comun volere, fu eletta Papa, e chiamata Giovanni, alla quale se fusse stata huomo, farebbe toccato il nome di Giovanni ottavo. Nondimeno non ebbe vergogna di seder su la sedia del pescatore, trattare, e maneggiare tutti i sacri misteri concessi dalla religion Cristiana a niuna donna e alcuni anni creò Cardinali e, femmina, ministrò in terra il Vicariato di Cristo. Ma Iddio, avendo compassione della sua plebe, non sopportò così eccelso luogo essere occupato da una femmina, ne che il mondo restasse da così fatto errore ingannato, ne che le andasse prospero l'ardire di voler maneggiare il corpo suo: perché spinta dal diavolo, che la teneva coperta in così scellerato ardimento la instigò, che quella principale onestà, che privatamente avea per innanzi serbata, che allora salita in cosi alto pontificato le venisse voglia di saziar l'ardore della sfrenata libidine. Ne a lei, ch'avea saputo così lungamente simulare il sesso, mancò via d'esequir la sua lascivia. Perché trovato segretamente uno di chi si poteva fidare, lo fece congiugner seco:di che avenne,che per ciò restasse pregna, e partorisse. O scelleratezza indegna, o invincibil pazienzia di Dio; ultimamente, a costei, che lungamente avea saputo accecare gli occhi degli huomini, mancò l'ingegno di poter nasconder l'incestuoso parto. Imperocché esendo ella più vicina al termine, che non pensava,mentre voleva andare a celebrar i divini uffici alla chiesa di San Giovanni Laterano nella pubblica strada,tra il Coliseo e il Palazzo di Papa Clemente,senza chiamare altra comare partorì. Col quale inganno avendo cosi lungamente, eccetto l'innamorato , ingannato tutti gli altri huomini, per ciò da' Cardinali deposta dal papato, e scomunicata, infelice si partì con pianto. A manifestar la sporcizia della quale, per continuar la memoria del nome, fino al di d'oggi, i sommi Pontefici faccendo le sacre processioni col Clero, e col popolo, avendo in odio il luogo posto in mezzo la strada dove partorì, voltano per alcune altre contrade, strade piccìole e strette, per evitar d'andar per quella, e intrando da un'altra parte in quella strada, lasciandosi dopo le spalle quel luogo, forniscono le loro preghiere, e il principiato viaggio.